venerdì 29 settembre 2017

Bellezza immortale

Album conservato nella Biblioteca del 
































La contessa di Castiglione, Virginia Oldoini, è stata una donna bellissima e consapevole di esserlo. Infatti, nata in una famiglia ricca e nobile, è fin da piccola viziata e adulata per la sua bellezza. Come una moderna Oscar Wilde vuole rendere la sua immagine immortale e lo fa grazie ad un nuovo mezzo dell’epoca, la macchina fotografica. Nel corso della sua vita colleziona più di 400 immagini che la ritraggono nelle pose più strane e con abiti sfarzosi che facevano invidia a tutte le nobildonne del tempo.

Amanti e fotografie


La contessa non si accontenta di poco, come per gli amanti aveva puntato in alto, così fa anche per la scelta dei fotografi incaricati di ritrarla. Proprio nel periodo parigino, quando diventa l’amante di Napoleone III, ingaggia due, tra i fotografi più in vista del bel mondo della capitale francese, Mayer & Pierson. Ogni ritratto la deve immortalare nella sua splendente giovinezza. È lei stessa a curare la scenografia degli scatti, con anche qualche richiesta particolare, come il vezzo di farsi fotografare i piedi. Insomma quelle immagini corrispondo alla sua persona, fatta di vanità ed egocentrismo. Alcuni degli scatti più famosi sono quelli in cui lei interpreta altri personaggi, come una suora di clausura o la regina di cuori con atteggiamenti sadomaso, anche a suo figlio Giorgio fa interpretare qualche parte vestito da bambina.

Album e ricordi


Di tutte queste foto sono rimasti a noi solo due album: uno si trova qui a Torino, negli archivi del Museo Nazionale del Risorgimento di Torino (noi di camerachiara siamo andati a dare una sbirciata), nel quale non sono indicate né il fotografo, né le date di realizzazione, quindi, presumibilmente destinate ad uso privato. Il secondo è custodito al Metropolitan Museum e contiene più di 289 foto della contessa, realizzate dai due famosi fotografi della nobiltà parigina. Virginia può essere considerata una delle prime modelle nella fotografia di moda.

Le foto che sono arrivate fino a noi, non solo servono a raccontarci la personalità della contessa, ma sono un importante osservatorio della società di metà Ottocento piena di cambiamenti e innovazioni.

La contessa guarda attraverso un occhiello

Contessa travestita da suora di Clausura

Quadro con i piedi della contessa


Fonte immagini:
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mercoledì 27 settembre 2017

La forza delle immagini di Wolfgang Tillmans raccontate a Basilea

Rimangono ancora pochi giorni per vedere la mostra fotografica allestita presso la Fondazione Beyeler dell’artista tedesco Wolfgang Tillmans. La città di Basilea ha accolto con grande piacere la collezione del fotografo, composta da più di trent’anni di carriera.


Wolfgang Tillmans: stimolante personalità del panorama artistico contemporaneo


Quella di Tillmans è ormai una figura eccellente del mondo dell’arte fotografica. I suoi lavori non possono essere incasellati in un’unica corrente artistica: Wolfgang si è occupato di tutto, spaziando dal ritratto al paesaggio, dalla natura morta ai bellissimi lavori degli ultimi anni ’80, rappresentanti un‘intera generazione di giovani tedeschi. Non esiste un ordine preciso nella sua collezione, gli accostamenti dell’esposizione appaiono casuali. A concludere la mostra, poi, vi è un nuova installazione video che destabilizza ancora di più lo spettatore, forse ignaro di ciò che sta vedendo o comprendendo. Come ha affermato lo stesso fotografo: “Pensate di sapere cosa ho fatto, ma non è così”.


La dimensione spirituale e artistica di un grande fotografo


Per cercare di comprendere al meglio Wolfgang Tillmans bisogna fare un passo indietro e focalizzare  il suo lavoro all’interno di un contesto sociale preciso: la Germania degli anni’80, periodo fondamentale per la sua crescita artistica. Ancora giovanissimo, Wolfgang comincia a lavorare sul proprio corpo, decidendo, poi, di muoversi tra i luoghi dello spazio urbano, tra le donne e gli uomini che lo abitano. Fondamentale, è la dimensione spirituale, vero motore creativo che lo ha portato a crescere sia come uomo che come artista. Un percorso lungo e complesso che lo ha spesso spinto a cambiare direzione, a volte anche drasticamente. Basti pensare ai suoi primi lavori, raffiguranti i rave party di Amburgo o i numerosi locali gay visitati durante i viaggi nel mondo. Poi c’è l’indagine riguardante la scena giovanile underground degli anni’90 e, infine, l’arrivo degli anni 2000, periodo in cui Tillmans raggiunge la sua maturità artistica. Oggi, il fotografo tedesco sembra più introspettivo e intimo, quasi astratto. Ecco la linea narrativa e temporale che si può avvertire alla mostra di Basilea: sono circa 200 immagini, tutte rappresentanti un momento della vita spirituale e artistica del fotografo. Materiale vastissimo che rende preziosa l’intera mostra, inaugurata lo scorso 28 maggio.

La Fondation Beyeler chiuderà le sue porte il primo ottobre, tra pochi giorni. Bisognerà affrettarsi e prenotare un volo direzione Basilea se si vuole beneficiare ancora di queste grandi opere fotografiche.


foto_wolfgang_tillmans

foto_wolfgang_tillmans
























Fonte foto copertina: facebook.com/paul.mittleman
                                  facebook.com/araks/

martedì 26 settembre 2017

Angelo Candiano: il fotografo senza macchina fotografica

Conoscete la fotosofia?? Noi di camerachiara fino a qualche giorno fa no. Ma in occasione di Ouverture siamo andati nella galleria Guido Costa Projects, dove è esposta la mostra di Angelo Candiano, "LIGHT IN ROOM FOR A VERY LONG TIME...".

I Mutanti, opere in divenire


Questa è una mostra fotografica senza alcuna fotografia: qui, l’artista tenta invece di comprendere e far comprendere quello che è il processo meccanico al disotto dello “scatto”. Due sono i punti fondamentali per spiegare il fenomeno: la luce e il tempo, elementi fondamentali nello studio della fotosofia. In tutta la sua ricerca Candiano analizza il rapporto tra visibile e invisibile, ben consapevole di stare esplorando un territorio mutevole. Infatti ogni sua opera è viva e genitrice di un’altra. Mutanti, opera composta da alcuni quadretti con all'interno una carta fotosensibile, spiega bene questo processo. Durante il vernissage abbiamo potuto parlare all'artista, il quale ci ha spiegato la sua affascinante attività di “ostetrico” e mostrato il risultato di un lavoro durato vent'anni: in occasione di Ouverture, è stata estratta, ed esposta al pubblico, la carta fotosensibile di uno dei suoi Mutanti. Il risultato rappresenta la materialità della luce.

Miracolo e il processo fotografico


Candiano non utilizza un apparecchio fotografico per creare la sua arte, ma ne sfrutta le componenti. Ad esempio l’installazione Miracolo, creata apposta per la galleria Guido Costa Projects, utilizza la luce di due proiettori: uno puntato verso l’entrata della galleria e l’altro con un fascio luminoso diretto al lato opposto. Questa composizione serve ad Angelo Candiano per spiegare il processo meccanico che sta dietro la fotografia. 

La sensazione che lascia questa mostra è quella di una ricerca di conoscenza più che di realizzazione di oggetti artistici. Un affascinante esperimento su tutto ciò che accade dentro la macchina fotografica nel momento dello scatto.

Angelo Candiano, Mutante, 1997, fotografia piegata e aperta, carta fotografica vergine, supporto in bilaminato, 40 x 40 x 7 cm.

Installazione due proiettori
Angelo Candiano, mostra “Light in room for a very long time…”, 2017, veduta dell’installazione: Guido Costa Projects, Torino
fotografia di Maria Bruni, courtesy Artista & Guido Costa Projects




venerdì 22 settembre 2017

Giovanni Gastel: il passato e il futuro del mondo Polaroid

Vintage Polaroids 1981-1997, la mostra fotografica dedicata a Giovanni Gastel, è stata per noi una grande scoperta: le sue piccole opere analogiche ricordano un mondo passato, però, al tempo stesso, appaiono più moderne che mai.


Il fascino indiscreto della Polaroid


Giovedì 21 settembre siamo stati alla mostra fotografica inaugurata alla galleria fotografica Photo & Contemporary dedicata a Giovanni Gastel, fotografo milanese che ha raccolto per l’occasione alcune sue Polaroids, rese così fruibili al nostalgico pubblico appassionato di fotografia analogica, e in questo caso, istantanea. Sì, perché la Polaroid è ormai considerata un’oggetto desueto, che nell’era del digitale ha perso la sua funzione primaria: scattare fotografie. Ma è proprio questo che, oggi più che mai, la rende un oggetto affascinante, così come lo sono le immagini che intrappola. Scattare con una Polaroid è come fare un salto indietro nel tempo, nei mitici anni’80, quando avere in mano una di questi aggeggi era cosa comune. Oggi entrare nelle stanze di Photo & Contemporary è come visitare un mondo passato, affascinante e analogico.

Il meraviglioso mondo analogico di Giovanni Gastel


Le Polaroids di Gastel, però, non sono solo questo: le piccole opere non si limitano a raccontare il mondo ma ne creano uno nuovo e personale. Surreale, suggestivo, abitato da donne fuori fuoco e scarpe con tacco 12. Gli oggetti, poi, appaiono destrutturati e reinventati, caratterizzati da nuovi elementi che trasformano l’immagine in una piccola opera d’arte. Molto legato alla pubblicità, è da questa che Gastel si è ispirato nel corso degli anni per la sua preziosa collezione. Impossibile non rimanere affascinati dalle sue fotografie. Viene la voglia di fiondarsi in una bancarella qualsiasi e comprare una macchina Polaroid. Certo il mezzo non fa l’artista, ma scattare con uno di quegli aggeggi diventa un rito puro: come dice lo stesso artista, la Polaroid è la “fotografia all’ennesima potenza”.

Se oggi la fotografia digitale rappresenta ormai il presente e il futuro, il mondo della Polaorid rimane comunque un momento indimenticabile della sua storia. Un’era, quella analogica, che il mondo della fotografia non potrà mai scordare.

giovanni-gastel-polaroids


Fonte foto copertina: facebook.com/GiovanniGastelFotografo/


giovedì 21 settembre 2017

Robert Mapplethorpe: fotografia e scandalo di un grande artista newyorkese

Lunedì sera siamo stati allo spazio Comodo 64, dove è stato proiettato Mapplethorpe: Look at the Pictures, il documentario dedicato al grande fotografo newyorkese. Le sue opere controverse hanno fatto, e fanno tuttora, scandalo.



Fiori bianchi su fondo nero
































Polaroid

Mapplethorpe non inizia fotografando, ma bensì creando dei collage con fotografie ritagliate dai giornali pornografici: partenza coerente con quella che sarà la sua futura produzione. Così facendo, però, il ragazzo ha la costante impressione di essere diventato un vero e proprio ladro d'immagini. Così, decide di crearle da solo. La sua arte si avvicina sempre più alla fotografia: con in mano la sua Polaroid comincia a costruire ed elaborare le proprie immagini. Nel 1972 Robert si lega sentimentalmente a Sam Wagstaff, un raffinato e ricco collezionista d’arte, fondamentale per la sua carriera. Nel 1973 il fotografo espone la prima personale: Polaroids, presso la Light Gallery di New York. Wagstaff gli fa da angelo custode: acquista per lui attrezzature fotografiche e un loft da usare come studio. La loro relazione durerà fino alla morte per AIDS di Sam.

Portfolio X Y Z

Nel 1975, Robert passa dalla Polaroid all’Hasselblad, grazie al quale inizia a impadronirsi della tecnica fotografica, fondamentale per le sue esigenze espressive. In questi anni Mapplethorpe si avvicina alla sottocultura omosessuale newyorkese e al sadomasochismo, creando diverse raccolte a tema sessuale e collaborando con diverse gallerie. Nel ‘78 inizia a lavorare con il gallerista e mercante d’arte Robert Miller: è grazie a lui che uscirà The X & Y Portfolio. Il Portfolio X è una raccolta di foto a tema sadomaso, mentre in Y è il tema floreale fare da protagonista. Nel ‘81 crea Portfolio Z, estratto dalla mostra Black Males, esposizione in cui viene messo in evidenza il corpo afroamericano, statuario e possente, incarnazione, ai suoi occhi, della perfezione. Quest'utimo lavoro contiene al suo interno una delle foto più famose, Man in Polyester Suit (venduta per 478.000 $ nel 2015). Sempre in quell’anno, Robert realizza Self-Portrait, uno dei suoi autoritratti più famosi. Qui armato di un frusta, il giovane artista prende l’aspetto di un moderno Lucifero. Dopodiché saranno molti gli autoritratti che paleseranno sia la sua forza che l’avvicinarsi della morte. Evocativo è il suo ultimo lavoro, in cui il fotografo si ritrae con in mano un bastone con un teschio.

Famoso per aver fatto scandalo, in realtà nelle sue foto è sempre presente una raffinata ricerca per la composizione, anche in quelle considerate sconvenienti dalla critica.


Ritratto di Mapplethorpe con bastone in mano




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martedì 19 settembre 2017

Noell S. Oszvald: nelle sue fotografie talento e minimalismo

Noell S. Oszvald è una giovane ragazza 27enne di Budapest. Classe 1990, è da sempre stata alla ricerca del mezzo migliore per esprimere la propria identità: dopo molti tentativi, ha trovato quello che cercava. Basta guardare i suoi autoritratti per percepirne la sensibilità artistica.

Donna con gonna lunga tra gli alberi



Noell S. Oszvald: la ricerca di se stessa

Noell ha da sempre cercato di esprimere se stessa attraverso l’arte, ma prima di arrivare alla fotografia ha percorso altre strade. In un’intervista del 2013 la ragazza racconta di aver tentato diverse discipline, tra le quali anche il disegno, ma di non essere riuscita ad esprimere quelle che erano le sue idee, quindi è passata alla pittura digitale e da lì a creare manipolazioni fotografiche, che l’hanno poi portata alla fotografia. Il suo è un percorso da autodidatta e ora le piacerebbe cimentarsi con la fotografia analogica. Insomma, capire le origini del mezzo che usa per ampliare le possibilità dei risultati. Per ora le sue foto sono tutte in bianco e nero, ma vorrebbe sperimentare altre tecniche ed evolversi. Se in un solo anno da quando ha preso in mano la macchina fotografica è riuscita a creare delle immagini così sofisticate, con un po’ di pratica chissà dove potrà arrivare.

Autoritratti

I suoi ritratti sono diventati celebri per il minimalismo misterioso che emanano. Grazie al bianco e nero e a uno studio attento delle geometrie, di oggetti e paesaggi, Noell riesce a dipingere un'atmosfera macabra, che fa emergere la sua sensibilità interiore, difficile da trovare nel mondo artistico odierno. Nelle sue immagini le figure umane si integrano con l’ambiente circostante, anzi quasi si fondono. Diverse sono le fonti che utilizza per ispirarsi: dalla musica al cinema, ma anche dal silenzio della notte, che quando non riesce a dormire le porta consiglio. Inoltre non ha nessuna intenzione di spiegare il contenuto delle sue foto, esse devono parlare da sole alle persone che guardano.  


ragazza, ombra e volatile

Ragazza nel letto, ombra treccia

cavallo e ragazza



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lunedì 18 settembre 2017

Bologna fotografata. Viaggiando nel cuore e nel tempo di Bologna

#bolognafotografata: è questo l'hashtag creato per la mostra fotografica bolognese. Le foto più suggestive potranno essere esposte nell'ultima sala della mostra. Una grande occasione per collaborare alla memoria storica della città.



bolognafotografata



















Bologna fotografata. Tre secoli di sguardi


#bolognafotografata: è questa la bella idea della Cineteca di Bologna che invita i suoi cittadini a rieducare lo sguardo per tornare a vedere davvero la città. Questo, però, non prima di  avere visto “Bologna fotografata. Tre secoli di sguardi”, la mostra fotografica visitabile fino al 30 settembre. Così, passeggiando per il Sottopasso di Piazza Re Enzo, il visitatore può partire per un’affascinante viaggio nel tempo, ammirando foto di lustri passati, che ripercorrono tutto il ‘900. Alla mostra hanno contribuito in molti: Marco Caroli, Nino Migliori, Luigi Ghirri e tanti altri. Alle loro foto d’autore, poi, si affiancano anche opere senza nome, bellissimi scorci della città, visti da occhi anonimi. In altre foto ancora, poi, possiamo ritrovare i grandi artisti che hanno passeggiato per le sue strade, dal grande Federico Fellini a Lucio Dalla, Morandi e Umberto Eco.


#bolognafotografata


È in questo contesto che la Cineteca di Bologna, organizzatrice dell’evento, si serve dei social network per invogliare il pubblico ad appropriarsi del mezzo fotografico e immortalare un pezzo della città. Basta digitare #bolognafotografata su Instagram per visionare alcune foto bellissime, scattate ancora una volta da uomini e donne comuni, suggestionati dalla visione della mostra. La città diventa così un terreno fertile per la creatività in cui ogni suo scorcio si trasforma in arte. Immersi nella città fotografata, il pubblico può passeggiare accanto alle bellissime donne degli anni’60, la cui visione è accentuata da un sottofondo di scarpe con i tacchi: una vera e propria macchina del tempo che permette, a chi vi entra, di perlustrare il cuore di Bologna.


Concluso il viaggio, tornare a casa, magari prendendo un tram verso la periferia, non sarà più la stessa cosa.

bologna fotografata


Fonte foto: facebook.com/MaNi-1832212346996133/
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domenica 17 settembre 2017

L'immaginario onirico di David LaChapelle: suggestioni dalla mostra di Venezia, Lost+Found


lultima_cena_di_david_la_chapelle

Lost+Found, la mostra dedicata all'arte di David LaChapelle si è conclusa il 10 settembre, riscontrando un grande successo di pubblico. Sono stati in molti, infatti, a beneficiare delle oniriche visioni del grande fotografo di Los Angeles.

Il Fellini della fotografia


Si è appena conclusa la mostra dedicata al grande artista e fotografo David LaChapelle, famoso in tutto il mondo per il vasto materiale fotografico onirico: bizzarro, eclettico e caratterizzato da colori fluo e sgargianti. L’arte di LaChapelle, però, non è solo questo. L’artista, ribattezzato da molti il “Fellini della fotografia” ci vuole mostrare la sua visione del mondo. Come appena entrato in un sogno, in cui la realtà appare distorta, David fotografa ciò che lo circonda, per mezzo di una sua personalissima visione onirica del mondo. Le sue opere sono prima di tutto il frutto della sua immaginazione: prima, queste gli appaiono in sogno. Solo in un secondo momento vengono intrappolate nell’istantanea chiusura d’otturatore di una macchina. È questo l’immaginario artistico di LaChapelle, un mondo che alcuni stentano a definire arte, mentre altri già inneggiano al mito.

David LaChapelle a Venezia: la mostra alla Casa dei tre Oci


È comunque questo il mondo che la città di Venezia ha voluto omaggiare, mettendo in mostra più di 100 opere, rappresentanti tutta la sua carriera. Dagli inizi, i ruggenti anni ’90, durante i quali David si è fatto le ossa lavorando per la pubblicità, fino alla maturità artistica, il cui inizio risale al 2006, quando, in visita alla Cappella Sistina, LaChapelle ne rimane folgorato. Da questo incontro, il fotografo inizia a partorire la sua visione personale del racconto biblico. Nascono, così, opere destinate a rimanere nell'immaginario collettivo di tutti i grandi appassionati di fotografia. Il mondo utopistico in cui il fotografo sogna si chiama  New World ed è qui che sono ambientate le sue foto migliori. Chi è stato alla Casa dei tre Oci, sede della mostra fotografica, lo sa bene. Tra le foto in bianco e nero del passato e quelle sgargianti del presente, i visitatori si sono immersi in un mondo onirico in cui a farla da padrone erano grandi modelli di impianti petroliferi, onirici e surreali proprio come tutta la sua produzione.





Fonte foto: facebook.com/Inside-Art-141199559370/
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venerdì 15 settembre 2017

Quanto può valere una fotografia? Chi ha comprato Rhein II di Andreas Gursky ne sa qualcosa.



Le opere fotografiche si distinguono spesso per il loro valore economico. Questo dipende dalle loro dimensioni, dal fotografo che le ha scattate e dal mercato mondiale. A volte, però, il loro prezzo supera davvero ogni immaginazione. È il caso di Rhein II, fotografia scattata da Andreas Gursky.




Andreas Gursky: è sua la foto più pagata della storia


Andreas Gursky, nato a Lipsia nel 1955, è considerato uno dei più importanti fotografi al mondo. Figlio d'arte, non poteva che prendere questa strada. Comincia gli studi vicino a Essen, tra il 1978 e 1981, con il maestro Otto Steiner. Successivamente frequenta l’Accademia di Belle Arti a Düsseldorf dove la sua produzione è fortemente influenzata dai maestri fotografi Bernd e Hilla Becher. La coppia, a partire dagli anni ‘60, ha dato avvio a una produzione di tipo documentaristico, sui cambiamenti di un’epoca, occupandosi soprattutto di edifici in lista per la demolizione e concentrandosi su quello che era stato il loro utilizzo in passato. Gursky mostra un simile approccio, ma su grande scala. Quasi tutte le sue fotografie sono vedute panoramiche, dove le figure umane non vengono mai riprese da vicino. In questo modo il fotografo si fa narratore esterno della “storia”.
Le sue immagini possono essere quasi considerate degli studi sociologici sulla cultura di massa. I soggetti ricorrenti nella sua opera sono, infatti: il mondo contemporaneo, consumistico e tecnologico, costituito da enormi edifici industriali, aeroporti, banche, alberghi, magazzini, serate rave ed eventi sportivi.

Rhein II

Gursky è famoso anche per un altro motivo: la foto intitolata Rhein II. Questa visione del fiume Reno, lunga tre metri e mezzo, è stata battuta all’asta da Christie’s nel 2011 per la ciclopica somma di 4,3 milioni di dollari, la più costosa della storia.
La domanda sorge spontanea, a cosa è dovuto il gran valore?
Sicuramente le notevoli dimensioni contribuiscono, anzi, sono fondamentali per ampliare la sensazione di essere immersi nei luoghi rappresentati.

Il grande valore attribuito alla sua opera non è solo materiale. Infatti, c’è di più: il fotografo definisce Rhein II un non-luogo, un paesaggio privo di connotati, una metafora sul significato della vita.

Fonte foto: facebook.com/artpeople1/


mercoledì 13 settembre 2017

"Arrivano i Paparazzi!": la mostra dedicata al mestiere più avventuroso del mondo

Una grande mostra fotografica per celebrare il mito dei paparazzi: è stata questa la grande idea di Camera – Centro italiano per la fotografia di Torino, che, dal 13 settembre 2017 fino al 12 gennaio, ha deciso di dedicare un’intero spazio in onore di questo mestiere, ormai entrato di diritto nell’immaginario collettivo degli italiani.


arrivano_i_paparazzi


Hei! Paparazzi!


Sono passati tantissimi anni ormai da quando Paparazzo, armato di Rolleiflex, se ne andava in giro per il centro di Roma, alla costante ricerca di divi da fotografare. Fotografo d’assalto per eccellenza, è lui il precursore di un fenomeno diventato mito. È con questo personaggio che Federico Fellini ha deciso di rappresentare, nel film La Dolce Vita, un’intera classe di lavoratori, fotografi avventurieri senza etica, il cui unico scopo era entrare nelle vite private dei divi. Dell’aura mitica del personaggio di Fellini, poi, ne hanno beneficiato i fotografi "reali", che da quel giorno si appropriano del termine: nascono così i paparazzi.

“Arrivano i paparazzi!”: 50 anni di storia italiana


La fotografia rubata si spoglia così della caratteristica illecita, per diventare arte a tutti gli effetti. In 50 anni di fotografie apparse sui rotocalchi di tutta Italia, i più grandi fotografi d’assalto sono riusciti a farsi un gran nome, a scapito, certo, dei malcapitati divi, la cui vita, a volte, è stata stravolta dagli scoop. Nella mostra dedicata di Camera ci sono proprio tutti: Anita Ekberg, Marylin Monroe, Jackie Kennedy, Lady D, fino al più moderno Silvio Berlusconi. Tutti accomunati dallo stesso disagio: quello di vedere diventare pubbliche situazioni che avrebbero voluto fossero rimaste private. Siamo stati alla mostra e ne siamo rimasti affascinati: un’altra prova del fatto che anche la fotografia da strada, imperfetta e istintiva, nasconde al suo interno una grande attrattiva. Forse non c’è niente di “artistico” e “ricercato” in tutto questo, ma il potere di entrare nelle vite private di personaggi, del presente e del passato, non ha davvero prezzo.

Fonte foto: facebook.com/CameraTorino

Franco Fontana: l'invenzione del colore

Franco Fontana non sceglie i colori, sono loro che si servono di lui. Difatti, già negli anni ‘50, quando lavorava in un negozio di parrucchieri, la sua specialità era la tintura. Oggi, può essere considerato uno degli inventori della moderna fotografia a colori.


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Franco Fontana: il rapporto tra colore e paesaggio


Per sua fortuna, quando iniziò a scattare negli anni ‘60, il bianco e nero imperava nel mondo della pellicola e le sue scelte venivano quasi considerate eretiche. Questo lo fece distinguere dal resto della produzione del tempo. Una delle sue prime esposizioni risale al 1963,  anno in cui il fotografo si aggiudicò uno spazio alla Terza Biennale Internazionale del Colore a Vienna. In una recente intervista, Fontana ribadisce come “l’arte non accetta quello che si vede, ma vuol far vedere l’invisibile. Il bianco e nero parte avvantaggiato, è già invenzione. Il colore bisogna invece reinventarlo, interpretarlo.” Ma come si fa ad interpretare i colori? Secondo Fontana dobbiamo slegarli dal loro utilizzo di semplici attributi (la panchina è rossa) e pensare invece a cosa suscitano in noi. Quindi è fondamentale per il fotografo entrare a contatto con gli elementi del paesaggio.


Bianco e nero, luci e ombre


Nella mostra visitabile a Palazzo Madama fino al 23 ottobre, non ci sono solo i paesaggi, ma anche le ombre. Il bianco e nero non era molto amato dal fotografo modenese, ma Ralph Gibson gli propose di collaborare a un libro che si sarebbe intitolato Contact: Theoryi cui colori principali erano proprio il bianco e il nero. Questo pose qualche dubbio al Franco colorista convinto, ma riflettendo sul da farsi arrivò alla conclusione che il bianco e il nero si definiscono per contrasto, come luci e ombre. Fu così che nacque il progetto Presenza assenza.

In conclusione il lavoro di Franco Fontana è di interpretare la realtà secondo il suo punto di vista e mostrarcelo. Come diceva Vladimir Majakoskij: “L’arte non è lo specchio in cui il mondo si riflette, ma un martello per forgiarlo”.  E il martello di Fontana è la fotografia, grazie a lui guardiamo dei paesaggi che da soli non avremmo potuto vedere.

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Fonti foto: facebook.com/francofontanaco
                 facebook.com/DgTalesRaccontiDigitali