mercoledì 24 gennaio 2018

Andrè Kertèsz: le finestre sul mondo del grande fotografo ungherese

Gli ultimi anni della sua vita li ha passati chiuso in un appartamento di New York, dove, affacciato alla finestra, ha immortalato sfuggenti momenti di vita quotidiana dei passanti. Attimi all’apparenza anonimi e inconsistenti, ma resi eterni dalla sua macchina fotografica. Il suo nome è Andrè Kertèsz ed è uno dei più grandi fotografi del ‘900. Grande amico di Henri Cartier-Bresson, il quale lo ha sempre considerato un vero e proprio pioniere dell’arte fotografica ( «Tutto quello che abbiamo fatto, Kertész l'ha fatto prima.») Andrè è diventato nel corso del tempo un grande punto di riferimento per la fotografia mondiale: un artista che non è mai sceso a compromessi e che ha sempre seguito la sua strada, assecondando il proprio istinto artistico. Nonostante la sua storia si sia conclusa all’interno di un piccolo appartamento dove per anni è stato relegato a causa di una grave malattia, la sua strada è partita da molto più lontano, quando ancora l’Europa era dilaniata dalla Grande Guerra.

Andrè Kertèsz: il fotografo rivoluzionario


Classe 1894, Andrè Kertèsz nasce a Budapest, figlio della media borghesia ungherese. Il giovane figliol prodigo ha solo 21 anni quando parte per la guerra, armato di una sola macchina fotografica. In trincea il giovane artista cerca di immortalare i momenti più intimi dei giovani commilitoni, ritratti nei pochi attimi di pace calpestati dalla tragedia del conflitto. Già a quei tempi, l’aspirante fotografo aveva la capacità di rendere immortali piccoli momenti di vita quotidiana, momenti di pace catturati da una speciale visione del mondo. Il suo destino era già segnato: conclusa la guerra, Kertèsz è pronto per intraprendere un nuovo  percorso artistico. Gli anni ’20 rappresentano un periodo di grande fermento per la storia della fotografia mondiale e il giovane fotografo ci si lancia con tutta la passione e il talento che ha in corpo, convinto di poter contribuire anch'egli alla crescita dell’arte fotografica. Insieme all’amico Henri Cartier-Bresson, Andrè inizia a collaborare con diverse riviste dell’epoca, intraprendendo, così, la  carriera di freelance. Colmo di speranze per il futuro, accetta la sfida di Le sourire che, intravedendo in lui un grande talento, gli lascia la libertà di pubblicare ciò che vuole in uno dei numeri della rivista. Il giovane Andrè non può tirarsi indietro davanti ad un’occasione del genere: dopo essersi procurato uno specchio deformante recuperato in un circo e aver ingaggiato due modelle, il giovane artista realizza “Distorsioni”, suscitando l’interesse e la stima di amici e colleghi, amanti, come lui, della nuova corrente surrealista: qui Kertèsz gioca con il nudo femminile, deformandolo e conferendogli un nuovo valore artistico. Anche la bellezza sacra della donna può essere destrutturata e rivoluzionata.

From My Window: la finestra sul cortile di Andrè Kertèsz


Nel corso del tempo il fotografo  comprende di non aver bisogno di nessuno specchio deformante per reinterpretare la realtà. Ogni essere vivente, ogni oggetto, ogni minimo dettaglio della vita diventa un archetipo universale, se immortalato dall’angolatura giusta. Dopo essersi trasferito in America, a metà degli anni’30, il fotografo non riesce, però, a trovare il grande consenso: gli americani, abituati al foto-giornalismo didascalico, non capiscono questa sua ossessione nell’immortalare, a parer loro, momenti “inutili” e poco interessanti. Cosa poteva esserci di così eterno in una forchetta appoggiata in un piatto, nel profilo di un comignolo o in una finestra rotta? Passeranno anni prima che il grande fotografo venga finalmente accettato e esaltato dalla critica mondiale. Il passare del tempo però è inesorabile: nel crepuscolo della sua vita, Kertèsz si ammala, fino ad  essere costretto alla solitudine di una stanza. Una stanza che, però, affaccia su un bellissimo parco, il Washington Square Park, dove migliaia di donne, uomini e bambini passeggiano, giocano, discutono e vivono. È  nell’ultimo periodo della sua vita che Kertèsz produce ciò che ancora oggi è considerato il suo testamento, From My Window: dalla sua finestra l’artista ha immortalato la magia della quotidianità dei passanti. Vetrine, bar, manifesti, ombre e bambini: From my Window è stato il suo ultimo regalo al mondo della fotografia mondiale.

"Andrè Kertèsz": la personale a Palazzo Ducale


Dopo il successo ottenuto al Foam di Amsterdam, dove sono state esposte alcune delle sue migliori opere, il mito di Andrè Kertèsz si trasferisce a Genova: a Palazzo Ducale, infatti, aprirà i battenti la mostra “Andrè Kertèsz” che ha l’onore di presentare più di 180 negativi inediti del grande fotografo. Dai primi anni ungheresi, passando per la tragedia della guerra e gli anni parigini, fino al periodo americano, dove l’artista incompreso ha vissuto il suo miglior momento artistico (From My Window ne è la prova). La mostra genovese a lui dedicata verrà inaugurata il 24 febbraio 2018 e durerà fino al 16 giugno. Andrè Kertèsz è stato un grande uomo e un grande artista: oggi il mondo ne ha la consapevolezza e non può che ammirare la sua grande opera.


Ogni grande artista ha, a suo modo, reinterpretato la realtà circostante. Kertèsz, però, lo ha fatto prima di tutti, quando anziché fotografare la guerra, immortalava i compagni che nella lunga attesa in trincea, aspettavano di morire.

Francesco Lodato

broken window di Andrè Kertèsz

Distorsioni di Andrè Kertèsz

il nuotatore di Andrè Kertèsz

ombra di una forchetta di Andrè Kertèsz

giovedì 18 gennaio 2018

Mario Trevisan: il collezionista di fotografie

Collezionista


Mario Trevisan è uno dei collezionisti di fotografia più importanti del nostro paese. La sua storia però non inizia con la fotografia, ma con la matematica, le case d’asta e l’arte moderna e contemporanea.

Come nasce la collezione

Il collezionista si avvicina all’arte grazie ai suoi studi universitari, dove conosce personalità che si occupano di economia e opere artistiche. Parte così la sua direzione trentennale per una famosa casa d’asta italiana dove inizia la sua collezione d’arte moderna/contemporanea.Ma fin da giovane ha comunque sempre avuto la passione per la fotografia, infatti ha scattato molte foto e partecipato a concorsi, ma il tempo per immortalare oggetti e persone era poco e quindi le immagini fotografiche sono state messe da parte: “ma l’amore è rimasto, tant’è che […] preferivo una bella incisione di Picasso, o simili, ad un discreto olio di un artista minore. Nel frattempo, ho sempre guardato alla fotografia, che compravo in modo molto sporadico, un pezzo ogni tanto, di artisti che usavano la macchina fotografica più che di fotografi. Poi il grande passo: ho venduto tutta la mia collezione di arte moderna e contemporanea e ho cominciato a raccogliere fotografie”.

La collezione

Dopo questo primo passo, Mario non si è più fermato e oggi possiede più di 250 pezzi, tra i quali possiamo trovare un dagherrotipo del 1846 di Ferdinando Brosy, fotografie più contemporanee degli anni 2000, grandi maestri come Man Ray, Henri Cartier-Bresson, Robert Mapplethorpe e anche artisti che hanno scelto di privilegiare il mezzo fotografico. Il filo conduttore della sua collezione è il surrealismo. Ovviamente Trevisan sostiene che la collezione ancora non sia finita e che se finisse vorrebbe dire che è morta o è morto il suo realizzatore.

Importanti sono le collaborazioni del collezionista con diversi musei italiani, in questo caso vi suggeriamo.Indizi - Opere dalla collezione di Mario Trevisan. In questa mostra le opere in esposizione sono immagini di figure e paesaggi, scattate dai più grandi interpreti della fotografia moderna e contemporanea, da Talbot e Macpherson fino a Ghirri e Sternfeld. La potete vedere a Roma, Galleria del Cembalo, fino al 3 febbraio 2018
Donna con ruota

Venezia









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giovedì 11 gennaio 2018

L'occhio magico di Carlo Mollino: l'architetto che rimodellava la realtà

Carlo Mollino è uno di quegli artisti che ha avuto la sfortuna (o il privilegio) di essere stati scoperti e apprezzati in veste di fotografo solo post mortem: i tempi in cui operava non erano ancora pronti alle sperimentazioni artistiche e al suo modo di reinterpretare la realtà. Oggi, questo  fotografo e architetto è considerato uno dei più grandi rivoluzionari del '900.


Carlo Mollino: i mobili e la passione per la fotografia


Fotografo, grafico, ingegnere, scenografo e grande sportivo: Carlo Mollino era questo è molto altro. Un esteta che viveva essenzialmente di notte, affascinato dalle luci della città: un vero e proprio scenografo  d’interni, che realizzava opere in funzione della luce che li avrebbe illuminati. Nonostante fosse un architetto di grande fama, il suo grande operato nel mondo del design e della fotografia è stato rivalutato solo dopo la sua morte, quando molti storici e critici d’arte hanno cominciato a comprendere sul serio il suo grande lavoro. Uomo eclettico dal grande fascino, l'artista torinese non si è mai lasciato imbrigliare dai meccanismi della grande industria: i prototipi dei suoi mobili più belli non sono mai stati realizzati in serie, privando così il vasto pubblico della possibilità di poterne ammirare la grande bellezza. La scelta di renderli pezzi unici e a tiratura molto bassa, però, ha influito sul loro grado di preziosità. Non stupisce che oggi i suoi mobili siano esposti al Moma (Museum of Modern Art) di New York.  Carlo aveva un gran gusto per l’hi-tech ed era molto interessato a tutto ciò che fosse in anticipo sui tempi: un vero e proprio rivoluzionario dell’interior design, capace di realizzare opere bellissime, come il tavolo Arabesco, che ricorda le forme sinuose di una donna, o come la lampada Cadma, che richiama la forma di un’elica (Mollino era anche un grande appassionato di aeronautica). Per mezzo del suo “occhio magico”, l’artista filtrava il mondo, popolandolo di oggetti unici nel suo genere.

L’occhio magico di Carlo Mollino


Ma non è solo per i suoi mobili che oggi vogliamo parlare di questo affascinante artista: tra le tante passioni, Mollino è stato anche in grado di spaziare nel campo della fotografia, ampliando così il raggio d’azione del suo “occhio”, il filtro sul mondo con cui era in grado di ridisegnare la realtà. Cresciuto all'ombra di un padre ingegnere e appassionato di fotografia, il giovane Carlo ha intrapreso numerose discipline artistiche, facendole poi, inevitabilmente, confluire l’una con l’altra. È il caso della sua passione per l’architettura e per la fotografia: sin dai primi progetti, Carlo era solito documentare il suo operato d’architetto e designer per mezzo di numerosi scatti. La sua passione per l’immagine, però, lo porta presto a intraprendere nuove strade: surrealista per natura, Mollino comincia a reinterpretare in chiave onirica le sue stesse opere, producendo fotografie still life dal grande fascino. Non c’è, però, solo l’interior design tra le sue opere: qualsiasi osservatore attento potrà trovare all’interno della sua vasta produzione richiami al mondo femminile, alle forme sinuose delle donne (le stesse che cercava di riprodurre attraverso i suoi oggetti d’interni) e al tema della velocità, mettendo sempre in discussione la realtà rappresentata e atterrando, così, nell'affascinante mondo del surrealismo. Il fotografo comprendeva già allora di aver intrapreso una strada ancora inesplorata e del tutto sperimentale. Per questo motivo sente il bisogno di redigere un manifesto, Il messaggio della Camera Oscura: siamo nel 1949, e Carlo Mollino è uno degli artisti più attenti all’evoluzione e all’affermazione della fotografia nella società moderna: essa, come la pittura, è una forma d’arte alta e per questo va rispettata. Senza dubbio, attraverso di essa, Carlo è stato in grado di ridisegnare il mondo, per lo meno il mondo visto dal suo sguardo, quel suo famoso occhio magico di cui tanto si sente parlare oggi.

È così che Camera - Centro Italiano per la Fotografia, ha voluto intitolare la mostra dedicata all’artista (aperta al pubblico a partire dal 18 gennaio 2018): L’occhio magico di Carlo Mollino. Fotografie 1934 – 1973, una mostra che raccoglie gran parte delle opere inedite dell’artista, ordinate in quattro sezioni riguardanti diversi momenti della sua produzione: dagli scatti i cui soggetti protagonisti sono le stesse opere architettoniche, passando per il surrealismo puro della sezione “Fantasie di un quotidiano impossibile”, fino alla sezione dedicata alla passione per la donna e il suo corpo sinuoso.

500 opere fotografiche da osservare e ammirare, soprattutto se si ha a cuore il futuro dell’architettura e della fotografia, intese come forme d’arte alte della nostra società contemporanea.


Francesco Lodato


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