sabato 17 marzo 2018

Robert Capa: chi ha scattato davvero Il miliziano colpito a morte?



Robert Capa è senza dubbio uno dei più grandi fotografi del ‘900: i suoi scatti hanno influenzato gran parte del foto-reportage di guerra. 

Tra le sue foto più famose spicca Il Miliziano colpito a morte, considerata ancora oggi una delle immagini più iconiche del XX secolo. 

Questa leggendaria foto, scattata durante la Guerra Civile Spagnola, è avvolta da un grande mistero, dovuto alla sua paternità: infatti, sembra che non sia stato Capa a scattarla ma una sua assistente. Lo rivela il fotografo turco Ara Guler, anch’egli appartenente alla cerchia dell’agenzia Magnum, di cui Capa (insieme all’amico Henri Cartier-Bresson) fu il fondatore.

Robert Capa: biografia e opere


Indomito, spericolato e grande amante delle donne, Robert Capa incarna il mito dei più grandi reporter di guerra.  Nato e cresciuto a Budapest, ancora studente universitario si trasferisce a Berlino, città che, all’alba della Seconda Guerra Mondiale, deve abbandonare a causa delle sue origini ebraiche. 

Giunto a Parigi si avvicina al mondo della fotografia, iniziando a lavorare fin da subito come freelance autodidatta. Il suo grande spirito d’avventura  lo spinge a lavorare su più fronti, documentando alcune tra le guerre più tragiche del primo Novecento, come la Guerra Civile Spagnola (1936/1939), la Seconda Guerra Sino-Giapponese (1938) e la guerra Arabo-Israeliana (1948).

Il grande successo lo travolge verso la fine degli anni ’40, quando insieme ai colleghi Henri Cartier-Bresson, David Seymour, Georges Rodger e William Vandivert, fonda una delle più grandi agenzie fotografiche mondiali: la Magnum Photos, il collettivo artistico destinato a influenzare intere generazioni di fotografi, come Ara Guler unico fotografo Magnum della seconda generazione ancora in vita.

Il miliziano colpito a morte: il mistero sulla sua vera paternità


È stato proprio Guler a sfatare l’aura mitica che aleggiava attorno alla figura di Robert Capa: secondo il fotografo 93enne, Capa non era un artista completo e si interessava più alle donne che alla fotografia. Inoltre, si ipotizza che Il miliziano colpito a morte non sia stata scattata dal fotografo ungherese ma da una sua assistente, Gerda TaroSolo in un secondo momento, dopo aver compreso la potenza espressiva della foto, il fotografo se ne appropriò, presentandola al mondo come sua.

Il miliziano colpito a morte era già stata oggetto di polemica e per anni sono stati in molti a chiedersi se si trattasse di un immagine costruita o casuale. Oggi, Guler insinua dubbi anche sulla reale paternità dell’opera.

Chi è stato a immortalare uno degli scatti più significativi del’900? La fotografa comunista tedesca Gerda Taro, assistente di Robert Capa e morta prematuramente a 27 anni, non ha mai potuto avere voce in capitolo sulla questione e fino a prova contraria, per tutto il mondo Il miliziano colpito a morte apparterrà per sempre al grande fotografo ungherese.

Francesco Lodato


Il miliziano colpito a morte di Robert Capa







giovedì 8 marzo 2018

Lisette Model, la fotografa viennese considerata una delle più grandi precorritrici della street photography


Lisette Model era tanto elegante quanta sconcia. Era capace di intrattenere gli angeli in cielo e sbirciare impudicamente sotto le loro vesti. Nel suo lavoro c’era qualcosa in agguato, un’essenza profondamente animata. Critica, ma anche fonte di vita: abbracciava la mortalità che ci attende tutti sin dalla nascita, sapendo che ogni impulso si atrofizza subito se non viene fissato in un’immagine. La fotografia era l’unico mezzo adatto a quella dinamica, e Lisette l’abbracciò in tutti i suoi gesti.”  Larry Fink

Nata a Vienna nel 1901 in una ricca famiglia ebrea, Lisette Model ha frequentato i migliori circoli artistici della città. Dopo aver studiato Belle Arti, si trasferisce a Parigi e si sposa con il pittore Evsa Model. Inizia a fotografare alla fine degli anni '30 nel sud della Francia. Uno dei suoi primi progetti è Promenades des Anglais, lavoro che viene pubblicato sulla rivista PM, quando si trasferisce in America nel 1938. Il suo è un successo immediato, che le aprirà le porte per numerose mostre. Dal 1941 al 1955 collabora con Harper's Bazaar, e nel 1951 diventa docente della New School for Social Research a New York, dove continua a insegnare fino alla sua morte, avvenuta nel 1983.

Primi lavori: la fotografia e i molteplici punti di vista


Trasferitasi in America, Lisette inizia lavorando a un reportage fotografico su Coney Island. Il primo lavoro, poi, le viene commissionato da Harper's Bazaar, rivista per la quale la fotografa s'impegna a ritrarre persone normali, ma con uno sguardo che coglie attimi allo tempo stesso tempo comuni e irripetibili: comuni perché riguardano la vita quotidiana di ognuno di noi e irripetibili in quanto la Model cerca di andare oltre l’azione visibile, rendendo percettibile un significato ben più complesso.

Fin dall’inizio le fotografie di Lisette non voglio essere esteticamente accattivanti, ma cercano di mettere in relazione il soggetto con ciò che lo circonda. Una delle sue foto più famose è The Bather, un ritratto di una donna grassa e gioiosa in costume da bagno nero, meravigliosamente spiaggiata. Come la fotografa amava ripetere: “È facile immaginare quanto sia noioso dipingere un bel corpo. Ma un corpo brutto è molto affascinante“. In sostanza il suo intento non era un risultato fotografico perfetto, ma permetterci di avere uno sguardo più approfondito sulla realtà che ci circonda.

Anche nei lavori successivi lo sguardo della fotografa è messo in rilievo, in quanto non ci permette di vedere la quotidianità dal nostro solito punto di vista. Ne sono un esempio le celebri serie Reflections e Running Legs, in cui la Model cattura, nel primo caso, le donne che ammirano le vetrine in un gioco di rilessi tra manichini e clienti e nel secondo, in primo piano vediamo le gambe dei newyorchesi che camminano freneticamente per le strade della città.


Lisette Model: la fotografa che ha fatto scuola


Lisette Model non si limita a fotografare, ma è anche un'insegnante, e da lei i suoi studenti apprendono la capacità di innalzare le situazioni mondane e le persone comuni ad arte. Lisette crede che la macchina fotografica sia un mezzo per esplorare e allo stesso tempo sia il mondo fisico che quello interiore. Dunque, per lei, una fotografia deve rivelare qualcosa del soggetto ma anche del fotografo.

Un altro importatane riferimento, nella sua ricerca, è il corpo femminile, rappresentato in svariate forme e declinazioni, per liberarlo dalla visione stereotipata della donna occidentale di madre e casalinga e mettendone in risalto l'individualità, il fascino, il mistero di ognuna. Molti sono i fotografi che si sono formati ispirandosi alle sue immagini, come, Larry Fink, Eva Rubinstein, Bruce Weber, Diane Arbus, che, oltre a essere una sua collega, è stata anche una sua grande amica.
Sara Mastaglia

Signora in costume nero spiaggiata

Piedi con stivali































Fonti: http://bit.ly/2IayFXa
           http://bit.ly/2FkNzMK
           http://bit.ly/2Flwimx











giovedì 1 marzo 2018

Henri Cartier-Bresson: il padre della Magnum Photos alle prese con la sezione aurea


Fino al 3 giugno 2018, presso il Museo dell’Ara Pacis di Roma si avrà la possibilità di ammirare alcuni degli scatti più suggestivi del gruppo Magnum Photos, la gloriosa agenzia che più di tutti ha saputo interpretare le trasformazioni politiche e sociali del secolo scorso. Tra tutti gli artisti che ne hanno aderito spicca la figura di Henri Cartier-Bresson, mentore e fondatore. Ci troviamo nel 1947, e il giovane Bresson si è da poco trasferito negli States: qui, il fotografo convince gli amici Robert Capa, David Seymour, George Rodger e William Vandivert a unire le forze per dare vita al progetto collettivo che ancora oggi rappresenta uno degli episodi più importanti della storia della fotografia.  

Henri Cartier-Bresson: la passione, la guerra e Magnum Photos


Henri Cartier-Bresson è stato uno dei più grandi fotografi di sempre: l’artista ha saputo cogliere lo spirito del ‘900 meglio di chiunque altro, conquistando a pieno diritto il titolo onorario di “occhio del secolo”. Il fotografo ha saputo raccontare lucidamente la guerra civile spagnola, l’occupazione nazista, i funerali di Gandhi; pensate che è stato l’unico fotografo occidentale a varcare i confini dell’Unione Sovietica in piena Guerra fredda. Nato come pittore e poi prestato al mondo del cinema, nel 1932 Bresson, folgorato da una grande illuminazione, comprende la potenza visiva del mezzo fotografico. Così, compra una Leica 35 mm, a cui affianca un obiettivo 50. Agile e leggero, Bresson comincia a fotografare il suo mondo, mosso da una passione così ardente che solo la seconda guerra mondiale poteva arrestare. Prigioniero in un campo nazista, dopo vari tentativi di fuga, riesce finalmente a evadere, unendosi alla resistenza francese. Sarà proprio lui, armato della sua fedele Leica, a documentare la liberazione di Parigi. Qualche anno dopo nasceva Magnum Photos e tutta la serie di reportage ormai passati alla storia.

Il teorico del momento decisivo


Per il fotografo la differenza tra una buona fotografia e uno scatto mediocre risiede nella capacità di riuscire a cogliere il momento decisivo, catturarlo e renderlo immortale. Da qui la fama di  “teorico del momento decisivo”: i suoi ritratti non rappresentavano mai soggetti in posa, ma sempre immortalati in fugaci azioni della loro vita quotidiana. In questo senso, a quei tempi la Leica rappresentava il mezzo migliore per poter catturare l’istante: il fotografo la considerava una vera e propria estensione dell’occhio. Essa era leggera e poco ingombrante, perfetta per muoversi con agilità.  

“La semplicità espressiva va ricercata attraverso la semplicità dei mezzi” e in questo Bresson era un vero maestro: sapeva cogliere l’attimo, utilizzando la sua macchina fotografica in maniera istintiva, un intuito che solo la conoscenza assoluta e consapevole del mezzo poteva conferire.

Le fotografie di Henri Cartier-Bresson: la regola dei due terzi


Henri Cartier-Bresson è un maestro della composizione: la sua arte era fulminante e istintiva ma  allo stesso tempo anche studiata e ben strutturata. La regola dei terzi è, per esempio, un elemento molto presente in quasi tutta la sua produzione. Le immagini di Bresson sono caratterizzate da una composizione perfettamente equilibrata, che conferisce alle immagini una grande potenza visiva. In pochissimi istanti, il fotografo aveva la capacità di posizionare perfettamente gli elementi in campo, riuscendo contemporaneamente a immortalare l’azione, improvvisa e irripetibile. Era come se studiasse la composizione di quell’istante ancora prima di intrappolarlo. Un istinto fotografico che non stupisce, considerato che negli anni giovanili, periodo in cui amava dipingere, passava intere giornate al Louvre, impegnato nello studio di grandi opere artistiche (come la sezione aurea di Piero della Francesca). Per lui scattare una foto era proprio come dipingere un quadro: tutto doveva essere al suo posto, al fine di creare un equilibrio perfetto tra gli elementi dello spazio rappresentato.

Velocità e perfezione compositiva: questa era l’arte fotografica di Bresson, il giovane pittore che ha trasferito la tecnica dei giganti dell’arte nella fotografia di reportage. Alcuni dei suoi scatti migliori, e di molti altri artisti che nel corso del tempo hanno contribuito alla grandezza della Magnum Photos, sono ora disponibili al pubblico italiano, presso il Museo dell'Ara Pacis, ma solo fino al 3 giugno.

Francesco Lodato

La regola dei due terzi di Henri Cartier-Bresson