Franco Fontana: il rapporto tra colore e paesaggio
Per sua fortuna, quando iniziò a scattare negli anni ‘60, il bianco e nero imperava nel mondo della pellicola e le sue scelte venivano quasi considerate eretiche. Questo lo fece distinguere dal resto della produzione del tempo. Una delle sue prime esposizioni risale al 1963, anno in cui il fotografo si aggiudicò uno spazio alla Terza Biennale Internazionale del Colore a Vienna. In una recente intervista, Fontana ribadisce come “l’arte non accetta quello che si vede, ma vuol far vedere l’invisibile. Il bianco e nero parte avvantaggiato, è già invenzione. Il colore bisogna invece reinventarlo, interpretarlo.” Ma come si fa ad interpretare i colori? Secondo Fontana dobbiamo slegarli dal loro utilizzo di semplici attributi (la panchina è rossa) e pensare invece a cosa suscitano in noi. Quindi è fondamentale per il fotografo entrare a contatto con gli elementi del paesaggio.
Bianco e nero, luci e ombre
Nella mostra visitabile a Palazzo Madama fino al 23 ottobre, non ci sono solo i paesaggi, ma anche le ombre. Il bianco e nero non era molto amato dal fotografo modenese, ma Ralph Gibson gli propose di collaborare a un libro che si sarebbe intitolato Contact: Theory, i cui colori principali erano proprio il bianco e il nero. Questo pose qualche dubbio al Franco colorista convinto, ma riflettendo sul da farsi arrivò alla conclusione che il bianco e il nero si definiscono per contrasto, come luci e ombre. Fu così che nacque il progetto Presenza assenza.
In conclusione il lavoro di Franco Fontana è di interpretare la realtà secondo il suo punto di vista e mostrarcelo. Come diceva Vladimir Majakoskij: “L’arte non è lo specchio in cui il mondo si riflette, ma un martello per forgiarlo”. E il martello di Fontana è la fotografia, grazie a lui guardiamo dei paesaggi che da soli non avremmo potuto vedere.
Fonti foto: facebook.com/francofontanaco
facebook.com/DgTalesRaccontiDigitali
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