Cosa rende le fotografie di Vivian Maier così speciali?
Forse il fatto che rappresentano un mondo passato, una New York anni ’60 che abbiamo imparato a conoscere solo grazie ai film. Siamo stati talmente
abituati a vedere le opere di Scorsese, Woody Allen e i grandi cult della
cinematografia mondiale, che abbiamo della Grande Mela un’immagine tutta nostra, affascinante e suggestiva. Questa magia non si limita solo a
New York: grazie al cinema abbiamo imparato a conoscere e amare Los Angeles,
Chicago, Boston. Abbiamo simpatizzato con la malavita, i giustizieri della
notte e i pubblicitari di Madison Avenue. Ci siamo innamorati di bellissime
donne bionde a cui abbiamo offerto un drink in un locale fumante e abbiamo
vagato per le strade fredde di New York, mani in tasca, alla ricerca di un
cinema dove trovar rifugio.
Finding Vivian Maier
Ma, se queste nostre immagini
cinematografiche non sono altro che riproduzioni della realtà, influenzate dalle
necessità narrative dei film, le foto della Maier raccontano una New York
quotidiana, reale, genuina: senza filtri. Esse rappresentano donne, uomini e bambini
della metropoli catturati dalla sua rolleiflex e resi eterni. È
forse questo uno dei tanti motivi per cui le sue foto sono ormai al centro
dell’attenzione della fotografia mondiale. Vivian Maier racconta una città
perduta, con i suoi costumi e la sua quotidianità. Muratori, storpi, divi, giochi
di specchi riflessi e ombre sulle strade vive della città: da queste opere traspare
una personalità misteriosa, quella di una bambinaia paranoica e compulsiva, che
per tutta la sua vita non ha fatto altro che collezionare ritagli di giornale e
scattare fotografie. Vivian era fondamentalmente una donna sola, oscura, e con
un particolare odio verso gli uomini: sentiva costantemente in pericolo la sua
posizione di donna nella società moderna. Chi era davvero Vivian Maier? Per
tutta la vita è stata una donna anonima, morta in povertà assoluta nel 2009.
Vivian Maier: la necessità di un documentario
Eppure, se solo avesse voluto, sarebbe potuta diventare una
delle più grandi fotografe del panorama mondiale già negli ’60. Ma così non è
stato. Una coincidenza, o forse, il destino, hanno voluto che un giovane
ragazzo, alla ricerca di foto per un libro, si sia imbattuto in un misterioso
scatolone, contenente migliaia di rullini ancora non sviluppati. Preso dalla
curiosità, John Maloof ha cominciato a stampare le foto,
scoprendo in esse una grande artista e fotografa. Nasce quindi il mito di
Vivian Maier, così, per caso. Di questa storia se ne è fatto anche un film: Finding Vivian Maier, tra l’altro anche
candidato agli Oscar come Miglior Documentario nel 2015. La pellicola racconta
la storia di un giovane ricercatore, che quasi con la stessa compulsione
dell’artista, è riuscito a raccogliere tutte le informazioni possibili sul
conto della donna, contattando e intervistando chiunque l’avesse conosciuta. Ne
è venuto fuori un’identikit sconvolgente.
Chi era Vivian Maier?
Il mistero si fa sempre più fitto: chi era Vivian Maier? Era
di New York, o davvero arrivava da qualche sperduto villaggio francese? Per molti
era una dolce bambinaia appassionata di fotografia e un po' matta, per altri una
donna oscura, violenta, che da tempo ormai aveva oltrepassato il limite della
follia. In Vivian si nascondeva un passato tragico, un qualcosa di non superato, che la donna esorcizzava per mezzo delle sue manie. Se
avesse voluto, avrebbe potuto presentare i suoi lavori a qualcuno d’importante a
New York, invece sembra che a lei interessasse soltanto l’attimo dello scatto,
quel momento istantaneo in cui riusciva a cogliere l’essenza del suo soggetto.
Le sue foto sono sempre ravvicinate, a un palmo dai suoi modelli: vecchi
clochard, bambini in preda al pianto, bellissime donne. Vivian era “solo una
bambinaia”, è vero, ma conosceva molto bene le potenzialità della sua macchina
fotografica: comprendeva il valore della composizione di un’inquadratura,
sapeva sfruttare la luce a suo favore e, soprattutto, sapeva cogliere l’attimo. Immaginatevela
camminare per le strade di New York, con appresso i suoi bambini, suoi grandi
compagni di vita. Ogni istante, movimento, sguardo che poteva sembrarle interessante, veniva intrappolato da uno scatto. E così, giorno dopo giorno, Vivian ha
continuato a scattare, in maniera compulsiva, ai limiti della malattia.
Registrava tutto quello che le accadeva attorno. Era affascinata da tutto ciò
che vedeva: un clown triste, dei bambini che giocano per strada, delle donne
che leggono il giornale sedute su una scala, osservate in lontananza da un
marinaio. Vivian si fermava, osservava, percepiva la poesia del momento, metteva
a fuoco e scattava. Così, per tutta la vita. Probabilmente aveva una grande
paura di essere dimenticata. Forse, sapeva che un giorno qualcuno avrebbe visto
e apprezzato le sue fotografie. Quello che sappiamo è che Vivian comprendeva la
validità delle sue piccole opere fotografiche, che niente avevano da invidiare
a quelle dei grandi fotografi dell’epoca. Eppure l’unica richiesta di stampare
le proprie opere era stata fatta a un piccolo stampatore francese, abitante del
suo piccolo villaggio d’origine in Francia. Perché proprio lui? Perché tra i
tanti stampatori di New York ne aveva scelto uno che abitava lontanissimo e che
tra l’altro non l’ha neanche presa sul serio?
Questo è un mistero che
difficilmente riusciremo a risolvere. Quello che conta, ora, è che il suo vasto
e immenso materiale sia finalmente fruibile al grande pubblico, che di anno in
anno, ne è sempre più entusiasta. Il mondo della fotografia ringrazia il
giovane John Maloof che ha avuto il coraggio, la passione e la forza di farsi
carico di un’impegno così grande: trasformare una vecchia bambinaia in
un’immortale grande fotografa.
Francesco Lodato
Fonte foto: facebook.com/photographervivianmaier/
Francesco Lodato
Nessun commento:
Posta un commento