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giovedì 8 marzo 2018

Lisette Model, la fotografa viennese considerata una delle più grandi precorritrici della street photography


Lisette Model era tanto elegante quanta sconcia. Era capace di intrattenere gli angeli in cielo e sbirciare impudicamente sotto le loro vesti. Nel suo lavoro c’era qualcosa in agguato, un’essenza profondamente animata. Critica, ma anche fonte di vita: abbracciava la mortalità che ci attende tutti sin dalla nascita, sapendo che ogni impulso si atrofizza subito se non viene fissato in un’immagine. La fotografia era l’unico mezzo adatto a quella dinamica, e Lisette l’abbracciò in tutti i suoi gesti.”  Larry Fink

Nata a Vienna nel 1901 in una ricca famiglia ebrea, Lisette Model ha frequentato i migliori circoli artistici della città. Dopo aver studiato Belle Arti, si trasferisce a Parigi e si sposa con il pittore Evsa Model. Inizia a fotografare alla fine degli anni '30 nel sud della Francia. Uno dei suoi primi progetti è Promenades des Anglais, lavoro che viene pubblicato sulla rivista PM, quando si trasferisce in America nel 1938. Il suo è un successo immediato, che le aprirà le porte per numerose mostre. Dal 1941 al 1955 collabora con Harper's Bazaar, e nel 1951 diventa docente della New School for Social Research a New York, dove continua a insegnare fino alla sua morte, avvenuta nel 1983.

Primi lavori: la fotografia e i molteplici punti di vista


Trasferitasi in America, Lisette inizia lavorando a un reportage fotografico su Coney Island. Il primo lavoro, poi, le viene commissionato da Harper's Bazaar, rivista per la quale la fotografa s'impegna a ritrarre persone normali, ma con uno sguardo che coglie attimi allo tempo stesso tempo comuni e irripetibili: comuni perché riguardano la vita quotidiana di ognuno di noi e irripetibili in quanto la Model cerca di andare oltre l’azione visibile, rendendo percettibile un significato ben più complesso.

Fin dall’inizio le fotografie di Lisette non voglio essere esteticamente accattivanti, ma cercano di mettere in relazione il soggetto con ciò che lo circonda. Una delle sue foto più famose è The Bather, un ritratto di una donna grassa e gioiosa in costume da bagno nero, meravigliosamente spiaggiata. Come la fotografa amava ripetere: “È facile immaginare quanto sia noioso dipingere un bel corpo. Ma un corpo brutto è molto affascinante“. In sostanza il suo intento non era un risultato fotografico perfetto, ma permetterci di avere uno sguardo più approfondito sulla realtà che ci circonda.

Anche nei lavori successivi lo sguardo della fotografa è messo in rilievo, in quanto non ci permette di vedere la quotidianità dal nostro solito punto di vista. Ne sono un esempio le celebri serie Reflections e Running Legs, in cui la Model cattura, nel primo caso, le donne che ammirano le vetrine in un gioco di rilessi tra manichini e clienti e nel secondo, in primo piano vediamo le gambe dei newyorchesi che camminano freneticamente per le strade della città.


Lisette Model: la fotografa che ha fatto scuola


Lisette Model non si limita a fotografare, ma è anche un'insegnante, e da lei i suoi studenti apprendono la capacità di innalzare le situazioni mondane e le persone comuni ad arte. Lisette crede che la macchina fotografica sia un mezzo per esplorare e allo stesso tempo sia il mondo fisico che quello interiore. Dunque, per lei, una fotografia deve rivelare qualcosa del soggetto ma anche del fotografo.

Un altro importatane riferimento, nella sua ricerca, è il corpo femminile, rappresentato in svariate forme e declinazioni, per liberarlo dalla visione stereotipata della donna occidentale di madre e casalinga e mettendone in risalto l'individualità, il fascino, il mistero di ognuna. Molti sono i fotografi che si sono formati ispirandosi alle sue immagini, come, Larry Fink, Eva Rubinstein, Bruce Weber, Diane Arbus, che, oltre a essere una sua collega, è stata anche una sua grande amica.
Sara Mastaglia

Signora in costume nero spiaggiata

Piedi con stivali































Fonti: http://bit.ly/2IayFXa
           http://bit.ly/2FkNzMK
           http://bit.ly/2Flwimx











giovedì 22 febbraio 2018

Luigi Ghirri: storia di un ritrattista del pensiero che ha fermato il tempo e trasformato lo spazio

Luigi Ghirri era un uomo molto distratto, costantemente immerso nei suoi pensieri. Lo ricordano così gli amici e compaesani che ancora oggi ne parlano con grande ammirazione, dipingendolo come avvolto da una grande aurea di mistero, propria di un grande artista. Di mestiere Luigi faceva il geometra. Poi, a un certo punto della sua vita, decide di mollare tutto e di lasciarsi andare alla sua grande inclinazione artistica: la fotografia. A oggi Ghirri può essere considerato uno dei capo scuola italiani della fotografia paesaggistica. Come l’illustre collega Gabriele Basilico, anche Ghirri intraprende un’affascinante studio sulla percezione dello spazio e del territorio, slegandolo drasticamente dall’immagine da cartolina che negli anni ’80 costituiva gran parte dell’immaginario collettivo  italiano. Questo nuovo approccio al territorio si concretizza, negli anni ‘80, in alcuni dei progetti più importanti del fotografo emiliano: Viaggio in Italia (1984), Esplorazioni sulla Via Emilia – Vedute nel paesaggio (1985), e Paesaggio italiano (1980-1989).  Qui i paesaggi appaiono come sospesi, quasi metafisici, caratterizzati da una grande semplicità, frutto di una lunga riflessione volta alla comprensione di se stesso e del mondo che lo circonda.

Luigi Ghirri: il paesaggio italiano nascosto


Luigi Ghirri libera dalle tenebre l’Italia nascosta, quel territorio silenzioso che l’iconografia tradizionale, influenzata dallo stereotipo turistico, aveva cercato di cancellare con tutte le forze. Il fotografo cerca così di superare l’immagine del “luogo comune”, sforzandosi di ricercare nuove metriche per misurare la periferia e la provincia, più poetiche e personali. Per lui la fotografia non è altro che la rappresentazione di uno dei tanti mondi possibili, che, in parte, nulla hanno a che vedere con quello reale. I suoi paesaggi sono in qualche modo a stretto contatto con il suo mondo interiore: spesso composte da pochissimi, ma essenziali, elementi, i suoi scatti si trasformano in porte della percezione, luoghi di confine in cui il reale e il metafisico lavorano assieme per la creazione di una nuova interpretazione del mondo. I luoghi di Ghirri si trasformano così in “non luoghi”, territori rarefatti e sovraesposti, prodotti di un lungo processo creativo in cui è la sperimentazione del colore a farla da padrone.

Il mistero, l'enigma e la cancellazione dello spazio


Il tema della memoria, dell’incanto e del fantastico: sono questi gli elementi caratterizzanti le opere di Ghirri. Il fotografo reinterpretava il paesaggio decontestualizzandolo dalla sua dimensione quotidiana, per inserirlo in un ambiente sospeso, in cui la percezione del tempo è drasticamente stravolta. Le immagini di Ghirri, sono territori pieni di  mistero enigmatico. Lo stesso Gianni Celati, suo grande amico e ammiratore, descrive le opere di Ghirri come caratterizzate da un grande senso della narrazione: le immagini di Ghirri, nonostante sembrino immobili, ci parlano, raccontandoci di un mondo che ormai abbiamo dimenticato. In questo senso risulta molto interessante uno dei suoi ultimi scatti, Roncocesi, realizzato nel 1992: dopo più di 10 anni passati a indagare l’essenza dello spazio e dei suoi elementi, Ghirri decide di fotografare la sola nebbia, eleggendola a simbolo assoluto della cancellazione estrema del mondo.

La scomparsa di questi territori, però, ne implica una conseguente nuova nascita, al di fuori dei confini dell’immagine:

“La cancellazione dello spazio che circonda la parte inquadrata è per me importante quanto il rappresentarlo, ed è grazie a questa cancellazione che l’immagine assume senso diventando misurabile. Contemporaneamente l’immagine continua nel visibile della cancellazione, e ci invita a vedere il resto del reale non rappresentato. Questo duplice aspetto di rappresentare e cancellare non tende soltanto a evocare l’assenza dei limiti, escludendo ogni idea di completezza o di finito, ma ci indica qualcosa che non può essere delimitato, e cioè il reale” .

Come Federico Fellini per il cinema, e come molti altri artisti della sua generazione che si sono cimentati nella pittura e nella fotografia, Luigi Ghirri è riuscito in una delle imprese più ardue per un artista: quella di fermare il tempo e trasformare lo spazio.

Francesco Lodato



Il mondo possibile di Luigi Ghirri

Il mondo possibile di Luigi Ghirri

Il mondo possibile di Luigi Ghirri
Il mondo possibile di Luigi Ghirri